#7 – Perché il suicidio di Civitavecchia non è “colpa delle banche”.

Se siete in qualche modo connessi col mondo dell’informazione, avrete senz’altro letto della drammatica notizia del pensionato di Civitavecchia che si è tolto la vita.

A quanto pare, la spinta al tragico gesto è venuta dall’aver perso tutti i risparmi di una vita, che erano stati messi per intero in obbligazioni subordinate emesse dalla (fallita ed ora salvata) banca dell’Etruria.

La notizia è ovviamente tristissima, ed è per questo che mi fa arrabbiare ancora di più lo sciacallaggio di media e politici senza vergogna.

Anzitutto bisogna chiarire cosa sia successo.

 

Virgolettati da Il Corriere

“Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Banca Etruria e CariChieti erano da tempo in difficoltà. Da anni si dibattevano tra commissari straordinari e sofferenze eccessive. Una banca «soffre» quando lo squilibrio tra attivi e passivi diventa ingestibile: quando i soldi prestati ai clienti non vengono restituiti.”

 

In pratica, queste quattro banche stavano fallendo. Interviene quindi il governo italiano, il 22 novembre.

“L’operazione varata dal governo è ibrida. Non è un bail in, ma un anticipo di bail in. Che cosa significa? Bail in vuol dire «garanzia interna» e, nel caso dei salvataggi bancari, è il contrario di bail out, vale a dire l’impegno del sistema (e quindi dei soldi pubblici) per sostenere le banche in difficoltà. L’Unione bancaria europea mira ad evitare il più possibile l’intervento degli Stati membri in caso di crac degli istituti. La strada scelta dal governo italiano contempla l’utilizzo del Fondo di risoluzione che metterà sul piatto 3,6 miliardi, di cui 1,8 andranno a ricapitalizzare le Nuove banche e 1,7 a coprire le perdite originarie. Ma l’entrata in campo di questo strumento — alimentato dalle banche nazionali — ha automaticamente fatto scattare la «condivisione degli oneri». L’aiuto del sistema, dicono le regole dell’Unione, arriva solo dopo che azionisti ed obbligazionisti subordinati (cioè i prestatori di denaro che hanno accettato un rischio maggiore a fronte di una cedola molto più alta della media) hanno partecipato al salvataggio.”

 

Cosa significa la parte sopra? Che quando una banca fallisce/sta fallendo, condizione necessaria affinché riceva gli aiuti alla sopravvivenza è che partecipino alle perdite anche gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati.

Come abbiamo chiarito in precedenza, gli azionisti sono, in pratica, i proprietari della banca (anche se di una piccola parte). Gli obbligazionisti sono quelli che a questa banca hanno prestato soldi.

Quindi: se la salumeria all’angolo fallisce, i proprietari della salumeria e chi gli ha prestato i soldi ci perdono qualcosa (o tutto).

Suona molto meno illogico di quanto lascino trasparire i media e certi politici, vero?

Le reazioni stupiscono ancora di più se pensiamo che una delle principali critiche mosse, giustamente, alle istituzioni durante (e dopo) la crisi finanziaria del 2008 fu “perché’ dobbiamo pagare i debiti delle banche private coi soldi pubblici quando in tempi di grassa i profitti sono privati?”.

Posto che sono quasi certo del fatto che le nostre pessime istituzioni italiane abbiano trovato la maniera di fare enormi cialtronate anche in questo caso, la ratio dietro la decisione del governo non fa una piega. Anzi, se una critica si può muovere alle istituzioni è: perché salvare banche fallite senza che i dirigenti (che le hanno fatte fallire) subiscano conseguenze? Perché dobbiamo “salvare posti di lavoro” di gente che ha fatto perdere soldi ai risparmiatori?”  

Purtroppo, nel caso del suicida di Civitavecchia, un piccolo risparmiatore aveva messo TUTTI i suoi risparmi in una sola obbligazione subordinata (quindi con rendimenti, ma anche rischi, più alti di una normale), di una sola banca, che fallendo ha azzerato l’intero valore dell’investimento.

Di chi è “la colpa” quindi?

Inizio dicendovi che la persona per la quale sarei quasi tentato di rivedere le mie posizioni assolutamente contrarie alla pena di morte è l’impiegato di banca che ha consigliato al povero pensionato come investire i suoi soldi.

Nella migliore delle ipotesi si tratta di una persona dalla criminale ignoranza che ha dato “solo” un consiglio orribilmente sbagliato (improbabile), mentre nella peggiore è un avvoltoio senza scrupoli che si è approfittato dell’ignoranza del pensionato per dargli consigli dettati unicamente dal suo interesse (molto più probabile).

Pur nel totale rispetto per chi ha perso la vita, non riesco comunque a non aggiungere una cosa: non dimentichiamoci della responsabilità personale.

Se dovete decidere dove mettete i vostri soldi, informatevi, chiedete, ricercate, non fidatevi di nessuno al di fuori di voi stessi.

Il povero pensionato di Civitavecchia ha infranto la regola numero 1 dell’investire: se non capite in cosa state mettendo i soldi, non metteteceli.

Ha anche infranto la regola numero 2: diversificare sempre il rischio. Mettere tutti i propri soldi in un solo titolo/obbligazione è assolutamente folle: anche se le probabilità di fallimento fossero minime il rischio è troppo alto.

Qual è il vero problema?

Il vero problema è l’ignoranza finanziaria.

Sia la McGraw Hill che l’OCSE hanno fatto studi sulle conoscenze economico-finanziarie della popolazione del pianeta, ed i risultati sono a mio avviso sconcertanti in generale, ed in particolare per l’Italia.

Secondo la McGraw Hill in Italia ne sappiamo un po’ meno (in media) di paesi come il Benin, il Togo, lo Zimbabwe, la Tanzania e lo Zambia.

Nella frangia di Gaza, dove hanno altri problemi di cui occuparsi, gli abitanti hanno una migliore comprensione del concetto di inflazione rispetto ai nostri compatrioti.

Secondo lo studio dell’OCSE l’83% degli italiani non sa rispondere a questa domanda (fatta in italiano).

 

Domanda4LiteracyTestDiciassettePercento
la differenza tra lordo e netto, insegnata in seconda elementare

Mentre solo un italiano su cinquanta sa rispondere a questa:

 

Domanda5LiteracyTestDuepuntounoPercento
ho esitato 30 secondi con la seconda risposta: mi sembrava cosi banale che pensavo fosse impossibile fosse quella giusta

Stiamo parlando di domande cui a mio avviso ogni persona con più di cinquanta euro in tasca dovrebbe sentirsi in dovere di saper rispondere.

Quale sarebbe quindi la soluzione?

Le regole di base per una vita finanziariamente tranquilla sono sempre le stesse, facilissime e banali:

  1. Spendete meno di quanto guadagnate.
  2. Createvi un cuscinetto di emergenza il prima possibile.
  3. Investite il rimanente.

Riguardo nello specifico gli investimenti:

  1. Informatevi. Ci sono un sacco di libri, articoli, blog, podcast che parlano (con senno) di come investire. A breve farò un post dedicato.
  2. Non investite in quello che non capite. Regola inderogabile: se non capite, state alla larga. Ci sono migliaia di investimenti semplicissimi (es: un appartamento in cui vivere, dei terreni), perché impelagarsi in cose complesse?
  3. Diversificate il più possibile. La vita è una sola, non vale la pena avere tutte le uova nello stesso paniere.

 

Davvero, datemi retta: vale la pena imparare a gestire i propri soldi.

E’ relativamente facile, e nel lungo periodo l’implacabile forza delle piccole percentuali fa si che un investimento porti più frutti di quanto si possa pensare.

Passiamo ore ad imparare i dati del fantacalcio, ad imparare a giocare videogiochi complicatissimi o a memorizzare i nomi delle nostre attrici porno preferite, veramente non possiamo trovare venti minuti a settimana per imparare a gestire i nostri risparmi?

 

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